Il nostro futuro globalizzato

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C’è stata una mutazione antropologica dopo Colombo. Il mondo era un luogo, divenne uno spazio. la Terra è diventata piatta, intercambiabile, identificata dalle coordinate. La città era un modo di vivere, poi divenne un insieme di cose, di case, in un determinato punto dello spazio.

Eppure la percezione dell’unità della famiglia umana è più antica, ed è un valore antropologico che può permettere di rendere umana e positiva la globalizzazione (che invece – se lasciata ai puri flussi economici e finanziari, rischia di essere alienante). Il cistianesimo ha preconizzato l’idea dell’unità della famiglia umana. Fonti cinesi attestano al 635 il primo missionario in Siria orientale. Forse anche prima. Leggiamo nel decreto che consentiva il cristianesimo in Cina. “Ogni regione della terra ha il suo proprio insegnamento religioso. Tutti i viventi sono chiamati alla salvezza” .

Ha scritto Rifkin: “L’uomo rappresenta il 24% della biomassa, e sfrutta il 94% dei processi di fotosintesi. Nel 2008 il petrolio a 148 dollari al barile ha provocato enormi rialzi nei prezzi dei prodotti agricoli. Se la terra è abitata da 6,8 miliardi di cow boy non c’è speranza. Io invece credo che la vera natura dell’uomo sia empatica . Ciascun soggetto, o famiglia, si trasformi in una sorta di piccola centrale che produce e immagazzina energie rinnovabili (sole, vento) per distribuirle ad altri. Una versione tecnologicamente avanzata di Internet

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