Gesù «scandalo» per le religioni dell’odio
Quando la donna con una emorragia inguaribile, che tocca nascostamente la veste di Gesù, si sente individuata e interpellata, ha un momento di panico e di mancamento (Mt 20, 22). Ha osato l’inosabile infatti, per una donna in quelle condizioni. Ha toccato un uomo, e per giunta un uomo religioso; ha puntato sul dono di una guarigione che si sottrae alle procedure previste; ha sfidato il catechismo della sua infanzia che le raccomandava nascondimento e accettazione della sua malattia penitenziale. Mille volte questa situazione si ripeterà: è un tratto caratteristico della scena originaria, in cui Gesù è protagonista insieme con interlocutori – essi stessi – religiosamente improbabili.
Il Maestro, però, chiama la donna davanti a tutti per confermare, di fronte a tutti, la qualità della fede esatta ed esemplare che essa esprime. Fede esatta nel respingere – almeno per un momento – la complicità di Dio con il male. Ineccepibile, nel riconoscere a Dio la buona disposizione a farsi incontro a una femmina, e a una femmina in stato di impurità sociale, legale e religiosa. Fede coraggiosa nel consegnarsi totalmente alla verità della testimonianza di Dio resa da Gesù, che proprio questo va annunciando ed eseguendo, nell’imbarazzo dei custodi della religione e nella sorpresa dei loro fedeli, divenuti incapaci di pensare fiduciosamente e di credere altrimenti in Dio. Non potremo mai fare di più, credendo. L’identificazione con la prossimità incondizionata e vincolante di Dio, che accade nell’evento di Gesù – dalla predicazione del Regno fino all’enormità delle sue Ich-Formeln («Io vi dico», «Il Padre mio», «Io sono») – è un azzardo oggettivamente difficile da conciliare religiosamente. Il sabato di Dio è per l’uomo: nemmeno la legge sacra può essere usata contro di lui.
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