I segreti di un filmato virale

Come si diffonde un video in Rete?

Esprimesse soltanto un contagio, il «virale», ossia un prodotto online, in particolare video, capace di essere visto, scambiato e condiviso in breve tempo da un considerevole numero di persone, sarebbe una questione di quantità. Quasi a suggerire che il termine che meglio connota questa stagione di utenti unici, like e cinguettii fosse un affare di numeri, quanti hanno scaricato quel video o a quanti piaccia quel post. Invece, dentro la potenza della viralità c’è il carattere stesso della Rete. Quali dinamiche si mettono in moto nel processo virale, è possibile determinarlo o accompagnarlo oppure si tratta di pura casualità?

«La credenza che si possa fare un “video virale” è uno dei miti più grossi tra i new media», spiega Arun Chaudhary, il film-maker che ha seguito con la sua telecamera Obama alla Casa Bianca e in giro per il mondo. Oggi in forza alla società di consulenza politica Revolution Messaging (che, nel 2008, contribuì alla campagna del presidente in carica), Chaudhary non crede che esista una meccanica capace di determinare il successo online di un filmato: «Chiedere a qualcuno di fare un video virale è lo stesso che chiedere a qualcuno di scrivere un singolo da numero uno». Una chimica, tuttavia, esiste e riguarda la dimensione narrativa di un video, come è successo di recente con i 30 minuti della Ong Invisible Children, dedicati al guerrigliero ugandese Joseph Kony e visti in pochi giorni da un numero impressionante di persone: «Non importa se stai vedendo un video o se sei a teatro o davanti la tv o online — sottolinea Chaudhary — è comunque una esperienza narrativa. E deve essere una esperienza, e non una serie di fatti, la gente vuole sempre essere a un passo dall’azione, che si tratti di uno spot politico o di un thriller».

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