Givone: il dolore innocente

SERGIO GIVONE: DAVANTI AL  DOLORE INNOCENTE NON POSSIAMO LAVARCI LE MANI

La morte dell’uomo-Dio Gesù Cristo è il crinale su cui si gioca il credere. E anche il non credere: «La prova per affermare la fede è la stessa di quella di rifiutare di credere». Si rifà a Ivan Karamazov e al suo provocatorio “Restituisco il biglietto” Sergio Givone, ordinario di filosofia all’università di Firenze, nel riflettere sulla portata umana, filosofica e religiosa dell’evento di cui la liturgia cristiana fa memoria oggi.

Nel cuore della Passione di Cristo, durante l’interrogatorio di Pilato, compare una domanda prettamente filosofica: «Che cos’è la verità?» Lei, da filosofo, come giudica il silenzio di Gesù di fronte a questo interrogativo?

«È vero, Cristo non risponde a Pilato, ma in realtà lo ha già fatto laddove afferma: “Io sono la verità”. Cioè, la verità, secondo Cristo, non è una cosa e neppure un paradigma che ci dice come stanno le cose. La verità è una persona e l’incontro con questa persona. La verità esiste solo se io sono disposto ad ascoltarla e incontrarla. Di qui si capisce l’affermazione di Dostoevskij: “Tra dovessi scegliere la verità e Cristo, io sceglierei Cristo”. Per questo motivo, di fronte a una persona che non è disposta a incontrare la verità e che non riesce a capire Gesù, egli può solo tacere. Si tratta della logica presa d’atto dell’impossibilità di essere accolto per quello che egli è: una verità personale. Ricordiamoci che Cristo non era accusato di chissà quali crimini, sui quali il governatore avrebbe potuto conoscere la realtà dei fatti: era incriminato appunto perché si proclamava la verità!»

Accanto al Venerdì santo della liturgia viviamo, nella cronaca, diversi «venerdì santi» umani, anche di recente: la strage di Tolosa, i bambini dell’asilo belga morti in incidente in Svizzera, i terremoti… Quale differenza tra quell’evento e questi fatti?

«Già, una bella domanda. Anche i “piccoli” venerdì santi ci mettono davanti, ad esempio nella morte di ciascuno di noi, l’icona del “grande” venerdì santo. Domandiamoci: in questo giorno chi muore? Un uomo crocifisso che, nel racconto evangelico, è anche Dio: non muore per finta, ma realmente! Se Cristo non è solo uomo, ma anche Dio, la sua morte è molto di più: è il senso stesso delle nostre morti. Nelle nostre sofferenze noi veniamo in contatto con Dio stesso».

Ma il dolore e la morte, soprattutto degli innocenti, vengono spesso considerati prove dell’inesistenza di Dio…

«Dio non è venuto a dirci: “Tu muori, ma poi rivivrai”. Egli è venuto a dare risposta alle nostre domande prendendo su di sé il dolore, la sofferenza e ogni tragedia. La tentazione si affaccia in ogni istante, però: se i bambini muoiono, Dio non può esistere. Ma se egli ha preso su di sé ogni dolore, anche la sofferenza diventa via alla fede. È il dilemma di Ivan Karamazov: “Restituiscono il biglietto” della vita di fronte al dolore innocente?».

«Non sanno quello che fanno». Quali sono, oggi, i carnefici che non conoscono il male che compiono verso gli innocenti?

«Tutti siamo colpevoli, io compreso. Ognuno di noi lo è, soprattutto per quel che non fa. Non esiste nessuna giustificazione facile. Nel nostro “non so” c’è sempre molta colpa. Nel nostro “non sapere” ci sono le grandi tragedie dei totalitarismi, quando ci scusiamo dicendo: “Siamo stati solo dei passacarte, non eravamo aguzzini”. In quei frangenti, nessuno sapeva, in realtà tutti sapevano. Quando Gesù chiede al Padre di perdonare i suoi aguzzini, sa che essi sono colpevoli».

Ma di fronte alle tragedie naturali, possiamo dirci? Sono più scandalosi i terremoti o le guerre degli uomini?

«Lo scandalo c’è sempre! L’uomo accusa Dio per un terremoto ma poi assolve se stesso: ogni guerra chiama in causa ciascuno di noi».

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