Queste erano le “pericolose” richieste di Malala Yousafzai una 14enne pachistana che vive ai confini con l’Afghanistan, in una regione che dal 2003 al 2009 era sotto il controllo dei talebani che distrussero centinaia di scuole e vietarono l’istruzione alle donne. Malawa divenne famosa quando nel 2009, a 11 anni, raccontò la sua vicenda di giovanissima studentessa, il terrore e le angherie subite per poter andare a scuola.
«Avevamo paura che ci gettassero addosso l’acido o che ci rapissero. Quei barbari erano capaci di qualunque cosa. Perciò evitavamo di indossare la divisa scolastica, portavamo abiti normali per non dare nell’occhio, nascondevamo i libri sotto lo scialle». Era un diario in urdu, stampato anche su un giornale locale, dunque accessibile a chi non sa l’inglese, per dare coraggio ad altre bambine e alle loro famiglie. «Solo 11 compagne su 27 sono venute in classe oggi – scrisse nel gennaio 2009 -. È per colpa dell’editto dei talebani. Tre delle mie amiche si sono trasferite in altre città. Mentre tornavo da scuola, ho sentito un uomo che diceva: “Ti ucciderò”. Ho affrettato il passo, guardandomi indietro per vedere se mi seguiva. Ma ho provato un grande sollievo quando mi sono resa conto che stava parlando al cellulare. Minacciava qualcun altro».
Malala difende un diritto basilare, così importante da far paura ai terroristi. Ieri è stata gravemente ferita all’uscita da scuola con due colpi di pistola alla testa e al collo. L’attentato è stato rivendicato dai talebani pachistani:«L’abbiamo attaccata perché diffondeva idee laiche fra i giovani e faceva propaganda contro di noi”.
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