Social Network Schedatura Social?

Se Facebook fosse una nazione sarebbe la terza del mondo come numero di abitanti, subito dopo Cina e India. Ma il suo sviluppo davvero impetuoso comincia forse a dare qualche segno in controtendenza, almeno negli Usa. Gli statunitensi in realtà sono in grande maggioranza iscritti al social network: ben il 67%. Tuttavia negli ultimi tempi c’è chi comincia a frequentarlo di meno: si scopre (finalmente) che fa perdere tempo e che i contenuti non sono poi così interessanti: troppo gossip, troppi contenuti drammatici di cronaca. Qualcuno soprattutto comincia finalmente a pensare sulla caratteristica di gigantesca “autoschedatura” rappresentata dai social network e soprattutto dall’uso che di essi si è di fatto imposto (forse non l’unico possibile)

 

La società Usa Ratheon ha sviluppato un proprio motore di ricerca pensato per analizzare l’enorme mole di informazioni dei social network per ricavarne dati utili, anche a fini spionistici. Tale motore si chiama Rapid Information Overlay Techonology e non è destinato alla vendita a privati. È possibile ad esempio mettere insieme le attività di un singolo utente su internet, sia in tutti i social network che durante la navigazione, nonché l’utilizzo delle mappe e gli acquisti. La cosa su cui riflettere è che l’analisi dei dati non avviene tramite intromissioni o manipolazioni (che magari ci saranno in altri casi), ma attraverso la raccolta di dati pubblici, legali e volontariamente inseriti dall’utente. Solo che lo stesso utente non si rende conto della potenzialità rappresentata dall’unire tutte le informazioni che lascia attraverso la sua presenza in rete. Basta guardare a quanto spesso gli utenti aggiornano il proprio stato e la loro posizione. Spesso facendolo espressamente, ma altrettanto spesso delegando a sistemi automatici tali operazioni (specialmente se si usano tablet e dispositivi mobili in genere). Scriviamo senza pensarci “mi sono annoiato in palestra”, e da qui può partire tutta una serie di informazioni su di noi, intrecciando spostamenti, orari, pagamenti, incontri. Basta postare una foto per fornire molte più informazioni di quanto si pensi: non solo le persone o la cosa fotografata, ma anche i metadati EXIF ad esempio. Che cosa sono? I metadati sono le informazioni collegati a file che descrivono il contenuto per i motori di ricerca. EXIF è una formula per le foto, che associa al file immagine  la posizione geografica della foto, la data, quale videocamera abbiamo usato e molto altro. Tutto molto comodo per il nostro utilizzato personale, ma anche appetibile per chi scava nella grande miniera di dati della rete. Naturalmente la contromisura c’è: rimuovere questi dati prima della loro condivisione. Ad esempio si può usare un software come Pixelgarde. Ma prima di tutto occorre avere consapevolezza di queste caratteristiche, e poi vincere la pigrizia o comunque la mancanza di tempo che ci instradano sulla strada più facile (e pericolosa…).

 

Una volta iscritti a un servizio è inoltre molto difficile essere veramente cancellati. Ci siamo ad esempio iscritti in molti a Skype, uno dei sistemi per telefonare attraverso la Rete (servizio attualmente proprietà di Microsoft). Gli stessi responsabili di Skype hanno però ammesso che i singoli account, anche dopo formale richiesta di recesso, non vengono definitivamente cancellati e che il relativo nome utente rimane in archivio. La motivazione ufficiale è la necessità di evitare che qualcun altro si appropri del nome account (problema reale). Non è facile trovare una soluzione, tanto che lo stesso Garante della Privacy ha posto la questione all’Autorità Protezione Dati dell’Unione Europea.

La protezione o meno della riservatezza è diventata terreno di scontro tra le stesse grandi società. Microsoft ha accusato Google di frugare tra la posta elettronica (gmail) dei suoi utenti. Sul sito scrooogled.com c’è scritto senza mezzi termini: “Pensi che Google rispetti la tua privacy? Allora ripensaci”. Non che a Google ci siano gli spioni della Stasi che nella Germania Est ascoltavano di persona le telefonate e segnalavano i sospetti. Si tratta di sistemi automatici che vanno in cerca delle parole chiave scambiate nelle mail per l’invio di messaggi pubblicitari ai singoli account di posta. Google non ha provato nemmeno a smentire. Ha solo detto che le ricerche sono automatiche e statistiche, non ad personam, e permettono di lasciare gratuito il’uso della posta elettronica: “Non c’è nessun essere umano che legge le vostre email… la scelta di quali annunci pubblicitari mostrare viene effettuata automaticamente da un algoritmo”.

 

In Cina le autorità stanno lavorando a una legge “per il sano e ordinato sviluppo di Internet”. Su può a ragione temere che si tratti di quello che lo scrittore Orwell chiamava “neolingua”: si scrive “sviluppo di internet”, si legge “controllo di internet”. Quale Paese al mondo può contare su 500 milioni di naviganti cibernetici se non la Cina? Con la motivazione ufficiale di difenderli dal “furto di identità” (problema reale) si costringerà ciascuno a fornire tutti i dati identificativi ai fornitori di connettività – e quindi prima o poi al Governo.

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