Com’è strana l’Italia digitale

C’è qualcosa che non va nel nostro rapporto con gli ambienti digitali. Potenzialmente si tratta di soluzioni che ampliano l’accessibilità delle informazioni, il controllo democratico, il ruolo di cittadini attivi. Allo stesso tempo, più banalmente ma con importanza non minore, permettono di semplificare la nostra vita quotidiana e i mille adempimenti di cui è fatta (magari lasciandoci più tempo per le relazioni umane).
Prendiamo un esempio. Nell’ultimo anno la scuola ha informatizzato molte procedure sinora svolte a mano. Durante gli esami di maturità del 2012 per la prima volta i testi delle prove sono stati inviati alle scuole per via telematica. C’era moltissima preoccupazione tra gli stessi “addetti ai lavori”, ma tutto è andato benissimo. Lo scorso ottobre si sono tenuti nelle scuole i test di selezione per il concorso a docenti. Qui non ci occupiamo della sensatezza del concorso e delle sue modalità culturali: faccio solo riferimento all’uso dell’informatica. Che ha funzionato. Le iscrizioni, scadute a fine febbraio, alle prime classi delle scuole di ogni ordine e grado si sono svolte solo on line. Tutto sommato è andata bene, tenendo conto dell’enorme numero di persone coinvolte. Ma ci sono state molte critiche e lamentale. Alcune del tutto assurde: qualcuno ha scritto che in questo modo si è perso il contatto diretto con le segreterie delle scuole superiori e quindi l’aspetto umano della relazione. La relazione umana è fondamentale, ma ci si è dimenticati di dire che nella tradizionale modalità le famiglie consegnavano le schede cartacea alla scuola frequentata, la quale poi spediva il tutto per posta alla scuola prescelta. Non è meglio andarci direttamente di persona, non per l’aspetto burocratico ma per quello – appunto – umano? Come è avvenuto, nelle tante giornate di apertura delle scuole e nella stessa assistenza offerta alla compilazione.
Naturalmente una critica seria c’è stata: gli italiani sono sufficiente preparati a utilizzare gli ambienti digitali? Il paradosso non è la domanda (sensata), ma le conseguenze della risposta: poiché per lo più non siamo preparati, la richiesta è stata quella di soprassedere, rimandare, non farne di nulla.
Dovrebbe invece essere chiara una cosa: se gli italiani non sono preparati, bisogna fare che lo siano, al più presto. Che senso ha rimandare ancora?
“Non tutti sanno usare un computer”. Vero, ma per gli usi di cittadinanza occorre far sì che ne siano capaci. Non lo chiede anche la Costituzione?
“Non tutti hanno un computer”: vero, ma bisogna far sì che lo possiedano. Non è tanto un problema di soldi (per la maggioranza almeno), ma di mentalità. In Italia il 62% delle persone possiedono uno smartphone, oggetto non proprio a buon mercato. E non è una tecnologia posseduta solo dai giovani: la maggioranza è costituita da persone tra 35 e 64 anni. Che cosa ci facciamo con tutta questa tecnologia sofisticata (uno smartphone è un computer)? Noi italiani ci facciamo poco: oltre che telefonare mandiamo sms (89%) o email (51%). Certo, usiamo anche le app, ma per lo più di giochi (!) con il 52%, primo posto. Quelle bancarie o commerciali sono solo il 17%, contro ad esempio il 53% degli Usa.
Insomma: possediamo per lo più una tecnologia evoluta, con un uso sottodimensionato. Non è allora un problema più culturale che economico?
Anselmo Grotti
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