Siamo destinati ad essere prosumer?

C’è un nuovo termine entrato di forza nel marketing: il prosumer. Prosumer è la contrazione dei termini inglesi produttore e consumatore (c’è chi in italiano lo rende come consumattore). Basta guardare il modo con cui sempre più frequentemente viene fatta la pubblicità: al consumatore viene suggerito di svolgere una serie di azioni che lo coinvolgono nel processo di produzione dell’informazione. I cosiddetti video “virali” sono pensati in modo specifico perché, suscitando interesse, vengano diffusi alla cerchie dei propri contatti sul web. I clienti sono corteggiati perché compongano ad es. la “personalizzazione” della propria vettura sul web. Marchi, brand e loghi si prestano ad essere interpretati dai “consumatori” in modo “creativo” così che si possa credere di avere influenza nel “producer domain”. Alle persone viene chiesto a volte di inviare foto, video, slogan che riguardano questo o quel prodotto. In sostanza si tratta di creare una convinzione di coinvolgimento che riversi sul prosumer la funzione di diffusione della comunicazione (spesso chiamata “condivisione”) non a un pubblico generico, ma selezionato sulla base di interessi specifici grazie all’utilizzo dei dati personali acquisiti nel frattempo e alla “garanzia” rappresentata dal fatto che il destinatario conosce più o meno personalmente chi gli ha inviato l’informazione. Se ci guardiamo intorno ci accorgiamo che il concetto di comunicazione a due direzioni di cui abbiamo parlato l’ultima volta è ormai ampiamente accettato e utilizzato nei media.
Solo che, al solito, non possiamo aspettarci che sia il semplice gioco degli interessi a far emergere la buona comunicazione: essa può discendere solo da una decisione consapevole di prendersene cura, a livello personale e politico.
Quella del marketing è solo un surrogato della comunicazione bidirezionale. È cambiata nel frattempo la modalità di funzionamento dell’artiglieria. Il broadcasting era come una mitragliatrice che spara all’impazzata da tutte le parti e a tutte le distanze: molti colpi vanno a vuoto, ma comunque verranno raggiunti un bel po’ di bersagli. La comunicazione secondo il neomarketing è piuttosto un’arma di precisione, un drone: spara singoli colpi in maniera mirata. Ed è precisissima perché le coordinate di fuoco le abbiamo fornite noi.
Anselmo Grotti
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