Internet: la fine dell’innocenza

di Anselmo Grotti
Per molto tempo alcuni entusiasti della rete ne hanno glorificato le qualità democratiche, progressive, innovative, salvifiche.. a prescindere. C’è stata una sorta di esaltazione tecnologica che ha portato in certi casi a credere che bastasse Internet a salvare il mondo.
Non che si possa sottovalutare la Rete: la potenzialità di comunicazione tra le persone e la condivisione del sapere giungono tramite essa a livelli mai prima neppure sognati. Se il sapere non è separabile dal suo supporto fisico la sua fruizione è molto ristretta: la pergamena costa moltissimo, il libro di carta non è disponibile contemporaneamente a più persone. Il villaggio di nascita ha rappresentato per la stragrande maggioranza degli esseri umani nella stragrande maggioranza del tempo l’unico luogo ove incontrare persone ed eventi.
I tecno entusiasti però hanno dimenticato un aspetto importante: non c’è una sorta di automatismo salvifico della tecnologia. La qualità anche della Rete si misura con la qualità generale della vita. Si è molto parlato in questi mesi della grande operazione ci spionaggio che gli Stati Uniti hanno realizzato, a spese molto spesso degli stessi Paesi alleati. Nel clamore, rischiamo di dimenticare alcune cose.
La Rete è pervasiva e apparentemente immateriale. Ma meno di quanto crediamo. La Rete si chiama così perché non ha un centro: l’informazione passa da un nodo all’altro non attraverso un punto centrale, ma attraverso mille e mille percorsi alternativi. Questo però, se è vero da un punto di vista della struttura logica, lo è sempre di meno dal punto di vista della struttura fisica. Quasi tutti i dati di fatti transitano ormai su pochi giganteschi “tubi” (backbone) intercontinentali che concentrano la maggior parte dei dati. E poiché le capacità di calcolo e di memoria hanno avuto una espansione enorme (più veloce della portata dei “tubi”), ecco che la possibilità di analizzare, elaborare, immagazzinare dati sui flussi è diventata facile, almeno per chi ne ha le possibilità.
E anche la decentralizzazione logica è sempre più a rischio. Google ha più dell’80% di share, su Facebook sta un quinto dell’intero pianeta (addirittura la metà se consideriamo chi di fatto usa un computer).
Soprattutto non ci rendiamo conto di quanto sta accadendo con gli smartphone: a differenza dei tradizionali computer essi condividono molti più dati di quanto solo immaginiamo. Sta appena dietro l’angolo la rete che risponderà in linguaggio naturale alle nostre richieste. Siamo stati sedotti dall’idea del “tutto gratis” in Rete e ora ci troviamo Zuckenberg (Facebook) che teorizza la fine della privacy seguito da Schimdt (CEO di Google): “Se non hai nulla da nascondere non hai nulla da temere”. Mentre si spingeva sull’idea che fosse la lotta al terrorismo il valore che cancellava la privacy, ci accorgiamo che si tratta di enormi interessi economici in gioco. “Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza” ha detto Benjamin Franklin. E Obama? E noi?
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