Reale e Virtuale

di Anselmo Grotti
Nell’opinione comune reale e virtuale sono due realtà opposte: ci si preoccupa ad es. che un ragazzo stia troppo tempo su Internet, “perdendosi” in mondo virtuale alienante – mentre invece sarebbe bene che si occupasse del “reale”. Detto così, virtuale è cattivo e reale buono, virtuale è illusorio, separato, ininfluente nel migliore dei casi.
Ma è davvero così? Non sarà che questa banalizzazione ci impedisce di comprendere un po’ meglio quanto accade intorno a noi?
Partiamo da un fatto di per sé di poco conto ma molto rivelatore. I videogiochi sono senz’altro ascrivibile nel settore del “virtuale”. Ad esempio il simulatore “Gran Turismo” offre una scelta tra più di mille modelli da “guidare” davanti a uno schermo. Recentemente è successo un fatto interessante: la ditta che produce il gioco ha chiesto alle aziende automobilistiche di realizzare prototipo appositamente per il videogioco. Lo hanno fatto una ventina di aziende. Ma una di esse, Mercedes, ha fatto un passo ulteriore: dopo aver realizzato, come i concorrenti, un modello solo virtuale di un’auto che nella realtà non esiste, ha deciso invece di produrla. Attenzione al passaggio: dapprima il videogioco ha simulato la realtà (le auto vere riprodotte al computer), poi ha vissuto una sua vita indipendente (auto che non ci sono nelle realtà ma sono plausibili nel software) e infine ha fatto sì che la realtà virtuale generasse una “realtà virtuale realizzata”. La Vision Gran Turismo sarà effettivamente prodotta.
Certo, una bella trovata pubblicitaria per Mercedes. Ma anche un segnale per tutti noi, se lasciamo da parte gli aspetti contingenti e ci concentriamo sul valore simbolico dell’episodio. Mentre chi fa marketing, ma anche politica, affari, comunicazione sta comprendendo che reale e virtuale sono inestricabilmente intrecciati, in campo culturale, formativo ed educativo a volte si nota un preoccupante ritardo. Questo intreccio è ovviamente ambivalente: la maxirissa che qualche mese fa è avvenuta a Bologna tra gruppi contrapposti di ragazzi è nata sul web, ma i pugni e gli scontri sono stati fisici e molto “reali”. Non una bella cosa: ma il segnale che occorre “prendersi cura” di questo intreccio.
Pur essendo divenuto popolare negli anni Ottanta tra gli informatici, “virtuale” è in realtà un termine filosofico, e forse converrebbe ritornare a questa sua origine per evitare l’errore di considerarlo affine a “finto”, “irreale”, come a volte accade. In filosofia virtuale vuol dire potenziale: qualcosa che può esserci. Generare il virtuale di per sé è una facoltà straordinariamente umana. Lo facciamo da sempre con i giochi e da molto tempo con la letteratura. Anzi, è stato detto che la letteratura è per gli adulti quello che è il gioco per i bambini: una dimensione fondamentale e irrinunciabile. Una dimensione nella quale coesistono il puro piacere, la conoscenza di sé e del mondo, la relazione con gli altri, l’autoformazione e la sperimentazione creativa del futuro. Ma come ogni realtà umana il suo significato dipende dal significato che sappiamo generare noi.
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