Prevenire i desideri

Anselmo Grotti
“Desiderio” ha la sua etimologia in “sidera”, “stelle”, cielo stellato. Il desiderio è qualcosa che si trova lontano, il cui raggiungimento implica impegno, ricerca, tempo.
La nostra società dei consumi consuma soprattutto l’intervallo dell’attesa e ha bisogno di affrettare tutto. La tecnologia è impegnatissima a ridurre sempre di più la distanza tra l’emergere del desiderio e la sua soddisfazione, perché questo incrementa le vendite. Si potrebbe dire anzi qualcosa di più: non siamo solo in grado di ridurre l’intervallo tra desiderio e realizzazione, sino ad azzerarlo. Possiamo fare di più: anticipare la realizzazione del desiderio, far sì che esso venga soddisfatto ancor prima di sorgere. Impossibile?
Amazon, uno dei più importanti “negozi” virtuali ha depositato un brevetto fortemente innovativo. Sappiamo già che le nostre abitudini di consumo sono scrutate sin nei dettagli da sistemi di tracciamento meticolosi quanto implacabili: la navigazione in rete, l’uso di bancomat, carte di credito e carte fedeltà, posta elettronica e sms, social network, addirittura il tempo utilizzato per tenere il mouse su una certa parte della pagina web sono solo alcuni dei modi attraverso i quali lasciamo tracce che ci profilano, che permettono ai gestori di “big data” tutta una serie di analisi per vendere meglio un prodotto o un’idea politica. Ma Amazon è pronta a un passo in avanti. Il nuovo brevetto utilizza l’immensa mole di dati per prevenire ciò che faremo, ciò che compreremo e ciò che desidereremo. Si chiamata “anticipatory shipping”. I prodotti vengono inviati a dei centri di spedizione vicini alle case delle persone che molto probabilmente domani chiederanno proprio quel prodotto (e se lo troveranno già impacchettato alla porta di casa immediatamente). Un bel vantaggio sulla concorrenza, tradizionale e on line.
Occorrono certamente tecnologie molto sofisticate per fare questo. Non è un caso se assieme alla notizia su Amazon è comparsa anche quella relativa a Google, e alla sua intenzione di investire 400 milioni di dollari nell’intelligenza artificiale. Anche per Google l’obiettivo è prevenire i nostri desideri. Google ha acquistato DeepMind, una società fondata da un neuroscienziato.
Un grande studioso come Noam Chomsky già nel 1957 si occupava delle strutture sintattiche che governano il linguaggio e il pensiero umano. Il meccanicismo cartesiano che si applica a tutta la realtà fisica potrebbe oggi essere trasferito a quella “macchina” molto particolare che è il computer. Ma Chomsky ha recentemente detto che “La mente e le facoltà mentali sono prodotte da principi del cervello che ancora non comprendiamo. La stessa evoluzione dipende ca mutamenti casuali che non si possono prevedere”. E il comportamento e i desideri umani si possono prevedere? Probabilmente sì, ma solo in quanto non sono pienamente umani.
Nel frattempo, riflettiamo sul fatto che il “Los Angeles Time” è stato il primo a pubblicare la notizia di un terremoto in California. Solo che l’articolo non l’ha scritto un giornalista, ma un robot. O meglio, un algoritmo chiamato “Quackebot”. Altri software si occupano di altri settori giornalistici: omicidi o altro, in ogni caso settori nei quali il programma trova i dati, lasciando al giornalista solo il commento. Anche qui è in gioco l’intelligenza artificiale, in questo caso quella del programma Stats Monkey.
No comments yet.