Sul Web più intelligenze artificiali che esseri umani

Anselmo Grotti
Oggi Internet ha 3 miliardi di utenti: tempo un paio di anni e arriveremo a quasi 5 miliardi. Ma questa è solo una parte del panorama: abbiamo già parlato di quello che si chiama “internet degli oggetti”. Un microprocessore in grado di connettersi a Internet costa ormai meno di un dollaro, e verrà messo praticamente in ogni oggetto. Il che significa che ci attendiamo presto la connessione di oltre 25 miliardi di oggetti, di cui solo una piccola parte computer come li abbiamo pensati sinora (anzi, arriviamo a 8 miliardi solo sommando ai computer anche i telefonini e i tablet). Più del doppio, 17 miliardi, sono oggetti i più diversi, in grado di operare in campi diversissimi: traffico, logistica, assistenza, servizi, turismo, sanità…
Ma la cosa interessante è che non c’è soltanto un internet “degli oggetti”, ma anche un internet “degli automi”, i bots. Si tratta di software che fanno ricerche e scansione di informazioni, ma che sono anche in grado di intervenire nei social network e altrove. La società americana Incapsula sostiene che il 61,5 per cento del traffico sul World Wide Web è da attribuirsi a entità non umane, ovvero ai Bot, termine usato come abbreviazione per “robot”.Insomma la maggior parte del traffico sul web non è generato da esseri umani ma da programmi e funzioni automatizzate. Rispetto alla ricerca precedente questo traffico robotico è aumentato del 21 per cento, superando il 50% di quello complessivo. Le attività automatizzate sono infatti il 61,5% e quelle umane solo il 38,5%.
Molti bot hanno uno scopo positivo: agenti certificati di software motori di ricerca. Altri hanno funzioni più subdole. Il programmatore americano Jim Vidamer è in grado di far trovare a un gruppo musicale 20.00 fan in una settimana. Fan “veri”, ma suggestionati da un frenetico passa parola gestito dalle intelligenze artificiali. In altri casi è la persuasione politica lo scopo di molti utilizzatori di bot in rete. In Siria se ne è fatto largo uso, ma anche in Cina. È facile per un software generare enormi quantità di messaggi che appoggiano un leader o una posizione politica, far scomparire le opinioni contrarie in un diluvio di spazzatura digitale, maltrattare e intimidire chi si oppone.
Secondo la stessa Twitter il 5% di utenti sono intelligenze artificiali: il che farebbe già un preoccupante 12 milioni di “utenti robot”. Ma è probabile – e comprensibile – che Twitter cerchi di sottostimare il fenomeno. Altrettanto probabile che anche gli altri social network soffrano dello stesso problema. Ancora una volta siamo chiamati a una adeguata capacità culturale per mantenere una “ecologia” degli ambienti digitali.
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