Obbligati a una scelta

di Anselmo Grotti
È diventato assolutamente normale per i ragazzi trovarsi in ambienti dove sono presenti degli schermi. Non solo la casa, il cinema, i luoghi di ritrovo. Perfino nelle parrocchie si utilizzano ambienti digitali, anche nelle stesse Chiese e durante la celebrazione liturgica.
Possibile che debba accadere spesso che solo a scuola gli ambienti digitali sono trascurati? Possibile che si debba discutere non il “come”, ma “se” occuparsene oppure no? A volte questa resistenza è dovuta a pigrizia, impreparazione, timore da parte dei docenti. In questo caso la posizione è del tutto criticabile e non ha scusanti. In altri casi invece deriva da una preoccupazione in sé legittima: non assecondare una deriva banalizzante, da intrattenimento mediatico, superficiale dell’apprendimento.
Solo che la terapia è del tutto sbagliata. Non occuparsi degli ambienti digitali non significa cancellarli, ma lasciare che se ne faccia un uso strumentale e spesso negativo. Le potenzialità di creare ambienti accoglienti, ricchi di interazioni, di stimoli, di scoperte non genera automaticamente la loro realizzazione. Non prendersene cura, ignorarli, denigrarli significa lasciarli alle logiche di marketing e di colonizzazione mentale delle èlites del potere economico e mediatico. Egualmente, una loro introduzione sciatta, senza una complessa riflessione culturale è destinata al fallimento – e anzi a cooperare con chi non intende entrare in contatto con le menti per comunicare, ma per conquistarle.
Non esiste una scelta tra un sì o un no agli ambienti digitali a scuola. Esiste una scelta tra un monopolio in cui pochi comandano e un luogo di conoscenza condivisa e costruita in modo comunitario. Tra far entrare le nuove generazioni nella “infosfera” come preda o come cittadini. Ed è una scelta alla quale siamo obbligati.
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