La paura e la prudenza

La paura e la prudenza
Di Anselmo Grotti
Il 22 marzo 1876 il “New York Times” scriveva: “Così il telefono, portando musica e ministri in ogni casa, svuoterà le sale da concerto e le chiese”. “Nessuno che possa star seduto nel suo studio con il telefono al suo fianco e ascoltare così l’interpretazione di un’opera all’Accademia si preoccuperà di recarsi fino alla Quattordicesima strada per trascorrere la serata in un edificio caldo e affollato… Il visitatore che dalla campagna venga a trascorrere una domenica in città e nell’atrio del suo albergo legga un avviso per cui I sermoni di Talmage si possono seguire alle undici nella sala dei telefoni naturalmente abbandonerà la sua originaria intenzione di arrischiarsi in una trasferta a Brooklyn”. Era evidente già allora la paura che i nuovi sistemi di comunicazione avrebbero azzerato la socialità a favore di una fruizione privata degli eventi. Si noti tra l’altro che il telefono nella sua fase iniziale non era visto come sistema di comunicazione tra persone, ma come strumento di diffusione da un centro verso un gran numero di ascoltatori. Non era ancora un social medium, ma un broadcasting. Curioso infatti l’accenno alla “sala dei telefoni”! Inoltre c’era anche una preoccupazione politica: i nuovi media potevano alterare il quadro istituzionale: “Un patriottico riguardo per il successo delle imminenti celebrazioni del nostro centenario impone di mettere in guardia gli organizzatori della mostra di Filadelfia: il telefono può essere uno strumento dei nemici della Repubblica”
Nel 1877 lo stesso giornale tuona contro il fonografo, che conserva i suoni: “Il conferenziere non chiederà più al suo pubblico di raggiungerlo in una sala, ma spedirà le sue relazioni in bottiglie da un quarto di gallone a cinquanta centesimi l’una; e il politico, invece di diventar rauco a forza di gridare dal palco, farà consegnare una pinta del suo miglior discorso nelle mani di ciascuno degli elettori” (novembre 1877; per capire il riferimento alla bottiglia si deve ricordare che le prime incisioni non erano su disco ma su cilindri). Insomma, si tratta di podcasting (scaricare dalla rete il file di un evento audio o video per utilizzarlo quando si desidera).
Un altro medium che fece molto discutere fu il fumetto. Nell’aprile 1954 si tennero diverse udienze al Congresso Usa sui fumetti. Il celebre psichiatra Wertham dichiarò in quell’occasione che “senza ombra di ragionevole dubbio e senza riserve, i fumetti sono un fattore importante in molti casi di delinquenza giovanile”. Wertham arrivò a dire, brillando per understatement ,che “… Hitler era un dilettante paragonato all’industria dei fumetti”, la quale proponeva personaggi “sadici” e “masochisti” come Superman e Tarzan. Dopo di che 12 stati Usa vararono leggi anti fumetto.
Oggi leggiamo molte cose analoghe riguardo a Internet e all’infosfera nella quale siamo immersi. Non intendo dire che ogni preoccupazione è sciocca e che occorre glorificare quanto accade. Esistono preoccupazioni più che legittime, anzi doverose: cosa succede ai nostri processi conoscitivi? Come gestiamo le relazioni? Chi ha in mano i “big data” che ci riguardano, chi sceglie quali tecnologie sviluppare e quali tralasciare? Il punto è un altro: non si tratta di cadere nella trappola di una “paura” superficiale e inefficace, ma di sviluppare una “prudenza” che sappia distinguere il grano dal loglio, individuare le opportunità e difenderci dai rischi. Occorre conoscere, comprendere, sperimentare, condividere, formare, realizzare. La paura non è mai una buona consigliera, meglio preferirle una coraggiosa e prudente creatività.
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