Scenari comunicativi

Anselmo Grotti

Secondo l’espressione di Bauman ci sono molte vite che vengono considerate “di scarto”. Soprattutto negli ultimi venti anni si è imposto un modello sociale in Occidente molto discutibile in teoria, ma che di fatto si presenta come ovvio e naturale. Occorre uno sforzo per penetrare la scorza del mondo, ci sono significati che non vediamo non perché nascosti ma perché quotidiani ed evidenti.

Siamo nella centralità dell’agire di consumo piuttosto che dell’agire di lavoro. Ci dicono che basta attendere che i gruppi più poveri si sviluppino e giungano agli standard dei più prosperi. Non è così: non siamo solo un po’ in ritardo sulla tabella di marcia: abbiamo proprio cambiato piano di viaggio. La società del benessere produce una enorme quantità di rifiuti, così organizziamo forme di stoccaggio nelle periferie, nei campi profughi, ma anche nel popolo dei Neet (né lavoro, né studio, né ricerca di lavoro). Si aggira il fantasma dell’esubero. Essere in eccesso è la forma che assume la povertà. Noi siamo ipersollecitati, facciamo fatica a rientrare in noi. Chi rimane indietro viene abbandonato; chi tiene il passo alla fine si ritrova svuotato. Bauman ritiene che la strada sia la creazione e la manutenzione dei beni legati all’essere della persona e a quelli relazionali. L’infelicità è programmata e ricercata, il dogma è che il consumatore non sia mai soddisfatto, pena il crollo del sistema. “Soddisfazione” è associato a stagnazione economica. Non solo abbiamo necessità di produrre sempre nuovi bisogni, ma assistiamo a una sistematica tendenza a minimizzare con disprezzo i bisogni di ieri. Abbiamo l’illusione sempre di un “nuovo inizio”, rassicurante e ingannatore. Ha scritto Shestov: annullare il passato è da Dio. Noi abbiamo scoperto che possiamo farlo senza essere degli dei: lo facciamo con la moda. È come se l’ineffabile potenza dell’eternità fosse tutta racchiusa nello spazio biografico breve del singolo. Quando Bauman parla di modernità liquida intende dire che le situazione in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure

C’è un desiderio di uscire dall’esperienza limitata della vita quotidiana e dell’orizzonte che ciascuno ha, necessariamente contingente. Ma non cerchiamo la via della relazione, della comprensione empatica, dell’ascolto, dell’apertura all’altro. Pensiamo di poter vivere noi direttamente ogni esperienza: ricominciando con nuovi partner, nuovi interessi, nuove attività. Ha scritto Stasiuk: “Il numero di esseri digitali, di celluloide e analogici incontrati nel corso di una vita normale si avvicina a quello che potevano offrire solo la vita eterna e la resurrezione della carne. Nell’arco di una vita mortale diventa possibile esaurire tutto ciò che l’eternità abbia da offrire”. La distinzione tra consumatori e oggetti di consumo è ormai provvisoria.

L’aspirazione all’incontro, alla conoscenza, alla molteplicità delle esperienze ha una profonda radice umana.  Ma la soluzione attualmente dominante si contrappone all’idea di comunicazione. L’esigenza è legittima e nobile: conoscere, ampliare la propria percezione del mondo, uscire dalla caverna. Ma ci sono due cattive soluzioni: l’annegamento in un collettivo che vive esso solo, oppure la concentrazione spasmodica di tutte le esperienze e tutte le possibilità nel singolo. La soluzione buona è più complessa, richiede cura e tempo, non avvantaggia fazioni e non crea squilibri: è quella della comunicazione, della relazione tra diversi ma capaci di riconoscersi a vicenda.

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