Comprendere modifica il cervello

Di Anselmo Grotti
Comprendere è una facoltà molto complessa, molto più complessa della manipolazione della realtà fisica, che pure fornisce le categorie profonde e le metafore al pensiero. Comprendere implica l’esperienza del rapporto con “oggetti” certamente fisici ma non completamente riducibili alla loro fisicità: le persone (gli altri ma anche noi stessi). Secondo studi recenti (degli antropologi Flinn e Ward e dello psicologo Geary) che combinano paleoantropologia, psicologia cognitiva e neurobiologia, il nostro cervello si è sviluppato perché mosso dalla necessità di stabilire delle relazioni sociali complesse, fondate sulla capacità di rendersi conto delle “opinioni” dell’altro, di comprenderne il suo pensiero, i suoi stati d’animo, ma anche la consapevolezza di sé, l’autocoscienza. In effetti il cervello degli ominidi si è quasi triplicato in meno di tre milioni di anni. La teoria tradizionale (Darwin) spiegava questo fenomeno con la combinazione dell’uso di utensili e della caccia. Ma in realtà anche gli animali hanno sviluppato alcuni utensili, mentre solo l’uomo ha relazioni sociali così complesse. Già Aristotele definiva l’uomo un “animale dotato di parola” (questa è la traduzione letterale di “logos”) e per ciò stesso “animale sociale” perché è la parola che permette la comprensione e quindi la vita in comune. L’assenza di parola genera il conflitto. La Bibbia a sua volta individua sempre nella parola la distinzione tra uomo e animali (non l’anima, che è comune anche ad essi – che per l’appunto si chiamano “animali” come a tutti i viventi). Una parola che non è solo “segnale”, ma qualcosa che ha bisogno di una relazione corretta per essere compresa. Nella storia di Babele si narrano le tragiche conseguenze di un linguaggio che viene utilizzato a fini perversi e che per ciò stesso diviene fonte di equivoci e discordia, provocando il caos e la guerra civile invece della serena convivenza.
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