Turing: Possono pensare le macchine?

di Anselmo Grotti

Alain Turing, inglese, è stato uno dei matematici più importanti del secolo scorso. Personaggio dalla vita non facile, è stato una mente capace tanto di straordinarie astrazioni concettuali quanto di applicazioni gravide di conseguenze sociali e politiche. Nel 1936 “costruisce” quella che viene definita “la macchina di Turing”. Non è una macchina fisica, eppure tutti i computer sono stati progettati su quel modello e non funzionerebbero senza di essa. Durante la guerra contribuisce alla nascita di “Colossus” il primo computer della storia, una macchina in grado di decodificare il linguaggio cifrato usato dai nazifascisti per le loro comunicazioni militari. Qui siamo interessati a un suo articolo del 1950: Possono pensare le macchine? Risposta (la sua): certo, non solo le macchine potranno pensare, ma questa domanda apparirà bizzarra nel giro di appena cinquant’anni. Cinquant’anni adesso sono passati e tutto sommata la domanda ci appare ancora bizzarra, il che però non rende meno importanti le sue argomentazioni.

Per Turing pensare non implica stati di coscienza, ma solo la capacità di agire come un essere umano. Non dobbiamo chiederci cosa c’è “dentro” chi agisce. Se il comportamento esterno è “indistinguibile” non abbiamo diritto di discriminare tra uomini e macchine. Per Turing un calcolatore in grado di rispondere a domande di un essere umano senza far scoprire all’interlocutore la sua natura di macchina può essere definito “intelligente”. Propone a questo proposito un test poi divenuto molto celebre proprio come “test di Turing”. Immaginiamo di conversare (via telescrivente nel 1950, facendo chat oggi) con alcuni interlocutori remoti: alcuni sono esseri umani, altri macchine appositamente programmate. Noi non sappiamo chi c’è dall’altra parte, persona o macchina che sia. Se la conversazione procede per un tempo abbastanza lungo, su argomenti disparati, con una certa fluidità e in modo che non ci sia possibile stabilire chi fra gli interlocutori è umano e chi no, diremo che anche le macchine “pensano”, sono cioè in grado di “comprendere” il linguaggio.

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