Elogio della lingua naturale

di Anselmo Grotti

(Parte 2; segue)

Noi abbiamo bisogno di una lingua non geometrica: non per un elogio della confusione, ma perché si adatta meglio alla complessità del reale. Nessuna formulazione linguistica è in grado di esaurire la comprensione della realtà di cui pure parla in modo sensato. Ogni testo poetico ad esempio esprime significati non predeterminabili. Il significato non è qualcosa “dentro” il testo, come una formula chimica: esso è piuttosto un’interazione, si potrebbe dire una danza, con l’ambiente. L’evoluzione non ci ha dato un cervello predeterminato, perché l’imprevedibilità del contesto rende insensata una programmazione definita, per quanto esasperatamente sovraccarica di dati essa possa essere.

Immaginiamo un programma addestrato per sostenere una conversazione su di un pranzo al ristorante. Il programma risponde correttamente a molte domande, esprime in modo sensato opinioni, gusti, previsioni. Se inserisco il dato di una bistecca servita carbonizzata sarà in grado di “immaginare” che il cliente abbia protestato, o qualcosa del genere. Ma cosa succede se chiedo se il cameriere era alto più o meno di quattro metri? È presumibile che il progettista non abbia inserito informazioni di questo genere, perché date per scontate per gli esseri umani. Certo, posso inserire la descrizione del cameriere e di ogni possibile ente. Ma ci sono una infinità di domande cui un bambino potrebbe rispondere e un computer no, semplicemente perché la maggior parte delle nostre informazioni le abbiamo acquisite dall’ambiente in maniera informale, e non è facile esplicitarle sistematicamente. Il rumore delle scarpe su quel particolare pavimento, i ricordi che un cibo può evocare, diversi per ciascuno di noi, le nostre aspettative: sono davvero troppi gli elementi che paiono difficilmente formalizzabili e inseribili in un algoritmo.

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