Fotografare

Cartier – Bresson ha detto tempo fa: “Credo che ogni anno nel mondo vengano sviluppate 12 miliardi di fotografie”.  Eppure questo immenso archivio extra corporeo della nostra memoria è oggi tranquillamente surclassato ogni secondo dagli innumerevoli scatti digitali non più solo delle “macchine fotografiche”, ma di ogni aggeggio elettronico: cellulari, tablet, notebook e così via. Fotografare non sembra più un atto correlato al ricordare, come dimostra anche una ricerca della Fairfield University (Connecticut). Siamo spinti più a pubblicare le foto sui social che a utilizzarle per consolidare il ricordo. Ha scritto l’autrice della ricerca: “La gente tira fuori lo smartphone e scatta, quasi senza pensarci; ma se non ci si mette qualche cosa di sé, se non ci impegna, l’atto del memorizzare è inefficace“.  “Senza pensarci”: qui sta la differenza. Fermarsi un attimo, osservare un dettaglio, scegliere una inquadratura: allora i processi mnemonici si attivano, l’immagine si fa significativa e la ricordiamo. Nella Germania nazista Sander era stato capace di realizzare una grande serie di ritratti di persone caratterizzate dal lavoro e dal ruolo sociale, ma sempre visti come persone (ad es. i soggetti della serie “Gli Ultimi”: ciechi, malati, anziani). Hitler non a caso lo perseguitò. Kazuyoshi ha scritto recentemente: “fotografare è pregare, camminare in silenzio”.

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