Li chiamano “nativi digitali”, ma non sanno usare internet

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Sembrerebbe una contraddizione in termini, ma sembra proprio che i giovani cresciuti a “pane e Internet” non abbiano la benché minima idea di come si debba navigare in Rete. Non conoscono i rischi derivanti dalla navigazione con le porte Wi-Fi aperte, non proteggono in alcun modo i propri smartphone e non controllano i parametri configurazione dei social network che utilizzanoI nativi digitali non conoscono la Rete. Questa è l’indicazione che ci giunge da un recente studio condotto dalla ECDL Foundation (www.ecdl.com), ente che in Italia è rappresentato dall’AICA (Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico), che si occupa dello sviluppo e del rilascio, a livello europeo, di certificazioni professionali nel settore dell’Information Technology.
Nonostante molti giovani affermino di possedere corpose competenze nel settore digitale, lo studio dimostra addirittura che quasi la metà dei giovani italiani mostra delle performance piuttosto scarse nelle conoscenze dell’utilizzo delle applicazioni fruibili nel Cyberspazio. Secondo l’indagine condotta su un corposo numero di studenti universitari italiani, ad esempio, ben il 42% dei giovani non è minimamente consapevole dei rischi di una navigazione basata sull’utilizzo della tecnologia Wi-Fi. Infatti, oltre il 40% degli stessi non protegge il proprio strumento di interconnessione (tipicamente lo smartphone) da possibili accessi da parte di applicazioni in grado di violare ed accedere ai dati in esso memorizzati. Sale al 50% il numero di giovani che non si preoccupa di controllare le richieste per l’installazione di “app” che continuamente vengono scaricate sui terminali cellulari. L’elemento di maggiore gravità, tuttavia, risiede nella tendenza dei giovani cybernauti a sopravvalutare le proprie capacità. Un ulteriore recente studio del 2015, ha rivelato che oltre l’84% degli intervistati aveva dichiarato di possedere ottime o buone conoscenze del Web, affermazioni successivamente smentite dai risultati derivanti dalla somministrazione di un apposito test pratico che ha ridotto a poco meno del 49% il numero delle persone effettivamente in possesso delle competenze informatiche minime per il corretto utilizzo della Rete. Inoltre, secondo i dati raccolti, sarebbe proprio la generazione compresa tra i 15 e i 29 anni a sopravvalutare le proprie conoscenze della Rete. Tutto ciò dimostra quanto ancora ci sia da fare sul fronte dello sviluppo delle competenze informatiche dei giovani e di quanto sia falso il mito della cosiddetta “generazione digitale”. Questa considerazione, tuttavia, produce una ulteriore constatazione: lo sviluppo e la diffusione di smartphone, tablet, e netbook non ha di certo aiutato e minimamente risolto il problema della crescita della cultura informatica in Italia. Siamo abituati ad utilizzare questi strumenti tecnologici con una dimestichezza che non è direttamente riconducibile alla loro effettiva conoscenza, ma ciò che è grave e che non prestiamo la benché minima attenzione alla pericolosità del loro utilizzo. Ciò è testimoniato soprattutto dall’inconsapevolezza della miriade di informazioni personali che rilasciamo in Internet. Inoltre la facilità e la dimestichezza con la quale, soprattutto i giovanissimi, utilizzano questi dispositivi, rafforza l’infondata sicurezza del loro corretto utilizzo. Oggigiorno chiunque, utilizzando anche lo smartphone più economico, può installare nuove applicazioni o aggiornare quelle esistenti, può curiosare tra i social network, ricercare informazioni con Google e sentire un brano musicale o visionare un video su YouTube. Tutto ciò, purtroppo, non significa “saper utilizzare un computer”. Tuttavia una responsabilità da cui deriva questa convinzione è certamente da attribuire alla facilità e alla “maneggevolezza” delle applicazioni di rete. I cosiddetti “market” presenti in Rete (come ad esempio Google Play) forniscono esattamente questa convinzione. La ricerca di un software o l’upgrade di quelle contenute all’interno del proprio terminale di rete, è diventata una questione di pochi click: scelgo l’applicazione, accetto o meno le clausole, la installo. Se poi ci ripenso, ancora qualche click e la disinstallo. Queste azioni identificano una “familiarità” con le tecnologie, non certo delle “capacità”. Anche se le recenti generazioni appartengono all’era digitale, non bisogna dimenticare che la cultura e la formazione rimangono sempre i due pilastri fondamentali su cui si basa la crescita degli individui e di conseguenza del paese in cui vivono. Forse la “leggerezza” che notiamo nell’uso di questi strumenti è anche da attribuire alla facilità con cui ne entrano in possesso, aspetto che facilità la svalutazione delle potenzialità di strumenti di così grande rilevanza culturale. Così come non va sottovalutata la tendenza all’abuso di utilizzo di questi strumenti, altro elemento di grande pericolosità sociale. Comunque sia, la sostanza delle cose non cambia: fintanto che la superficialità e il pressapochismo continueranno ad imperare, non riusciremo mai a trovare la strada giusta per correggere i nostri errori.
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