A immagine di algoritmo

di Anselmo Grotti
Siamo davvero in una società “liquida”, come dice il sociologo Bauman? Sì, se prendiamo atto di come pensa, agisce ed entra in relazione la maggior parte delle persone. Eppure ci sono alcuni gruppi ristretti che sono tutt’altro che liquidi: per loro la tecnologia non è il multitasking fra i social network, ma la precisione e la solidità degli algoritmi che passano instancabilmente al setaccio tutti i nostri bites. E come funzionano questi algoritmi? Come sono strutturati i “robot” digitali che rispondono alle nostre richieste in Rete, che decidono quali immagini e quali “memi” compaiono nei nostri schermi? Non lo sappiamo. Quasi nessuno lo sa. Negli Usa la Federal Trade Commission sta cercando di aprire la “scatola nera” dei codici usati dalle grandi società informatiche. Non si tratta semplicemente di quale tipo di pubblicità viene associata alla nostra navigazione. La nostra profilatura diviene sempre più marcata, e viene usata per l’accesso al credito o stabilire su quale tasso assicurativo è più consono al nostro indice di rischio. Il tutto in modo automatico, senza possibilità di contrattazione con un “umano”. Siamo disposti ad accettare che un soggetto sia direttamente riducibile all’insieme dei dati che lo profilano? Non è soltanto una questione tecnologica o legale. È anche una visione antropologica.
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