Guardati da una macchina

Anselmo Grotti
La settimana scorsa abbiamo parlato delle forti emozioni che sono state sperimentate dal pubblico del MoMA di New York quando nel 2010, una alla volta, le persone si sono sedute davanti all’artista Marina Abramovic.
Oggi parliamo di una sorta di replica inquietante. 2016, Milano, sale della Fondazione Prada. Le persone si siedono davanti a “qualcuno”, anche lui seduto. Muove le braccia, le mani, il busto. Parla. Cita filosofi come Benjamin, Nietzsche e Arendt, politici come Gorbaciov e Luther King, letterati come Mary Shelley. E guarda. Guarda le persone, intercetta il loro sguardo, lo riconosce, sosta un po’. Poi piano piano si sposta, sino a che non si concentra di nuovo su un’altra persona, su un altro sguardo. Questo “qualcuno” che ci guarda non è un essere umano: è un androide, opera dell’artista polacca Goshka Macuga, fabbricato in Giappone da A Lab. Ha il corpo del fidanzato di Goshka, e chissà se Macuga sa o non sa di aver copiato quello che ha immaginato nel 1925 il regista Fritz Lang che realizza un androide femmina, copia della bellissima – e ahimè defunta – Hel.
Ma il punto qui è lo sguardo. I visitatori dicono di esserne affascinati, come se si trattasse di un umano. Vedi https://vimeo.com/155018247 Qualcuno ha scritto che dovremo riconoscere la spiritualità degli androidi. Temo che li stiamo sentendo sempre più simili a noi perché siamo noi a diventare simili a loro. I nostri sguardi sono davvero comunicativi? Ne parleremo la prossima settimana.
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