“Mamihlapinatapai”

di Anselmo Grotti
In precedenza abbiamo parlato di musei nei quali si poteva incontrare lo sguardo dell’artista (New York 2010) o dell’androide creato dall’artista (Milano 2016).
Perché è così coinvolgente l’esperienza di guardarsi reciprocamente negli occhi? Sappiamo tutti che esistono regole molto precise su questo. Se siamo in ascensore, o comunque in contesti di forzata prossimità fisica, evitiamo di fissare lo sguardo sullo sguardo altrui. Guardiamo in alto, in basso, di lato: non nelle pupille dell’altro. Il contatto fisico dei corpi fra estranei non viene accettato se siamo in pochi un ambiente spazioso. In un autobus molto affollato lo stesso contatto viene percepito come neutro e non crea problemi. Fissare ostinatamente qualcuno (qualcuna) negli occhi rimane poco educato anche in mezzo alla folla. È troppo intimo: non si toccano due corpi che occupano uno spazio, ma due interiorità che si avvertono misteriosamente. Gli abitanti della Terra del Fuoco, estremo sud dell’America del sud, hanno una comoda e breve parola per indicare quello che succede quando ci si guarda deliberatamente: “Mamihlapinatapai”. Provate a pronunciarla, è facile… È comunque è molto più breve del suo significato: «guardarsi reciprocamente negli occhi sperando che l’altra persona faccia qualcosa che entrambi desiderano ardentemente, ma che nessuno dei due vuole fare per primo». È capitato a tutti, no? Vedi anche https://youtu.be/8ImIqL1swgc
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