Il virtuale che ci rende umani

Anselmo Grotti

Proviamo a sintetizzare le caratteristiche essenziali del virtuale. Oggi cominciamo con quelle positive – che non sono le uniche.

Dobbiamo imparare che siamo umani perché sappiamo abitare il virtuale – che è molto precedente alla questione del digitale. Meglio: abbiamo imparato a diventare umani quando abbiamo cominciato a non vivere solo di percezioni direttamente afferenti a una realtà fisica presente davanti ai nostri sensi, ma a dare importanza anche al ricordo, alle aspettative, a una continuità tra diversi stati d’animo. C’è un’incessante attività mentale che costruisce un mondo che non è fisico, ma rende significativo il mondo fisico. Il virtuale nasce da una maggiore complessità psichica.

Lo abbiamo imparato molto presto. L’animale è mosso dagli stimoli immediati dell’istante, dall’apparire di un bisogno e della sua possibile soddisfazione.  “L’animale caccia finché la preda stimola i suoi sensi; passato qualche tempo in cui udito, vista o odorato non la sentono più, se ne disinteressa. Il protouomo cominciava invece a seguire una traccia psichica oltre che fisica; a conservare, durante la lunga battuta, un’immagine mentale della bestia cacciata, anche quando non ne avvertiva più la presenza con i sensi” (Luigi Zoja).  Siamo diventati umani quando abbiamo abitato anche il virtuale: ci siamo ricordati del passato, abbiamo immaginato il futuro. Ci siamo presi cura dei nostri morti: hanno continuato ad abitare le nostre menti. Ci siamo presi cura del nostro partner: abbiamo capito che è importante sempre, non solo al momento dell’accoppiamento. Ci siamo presi cura dei nostri figli, accompagnandoli nel tempo, riconoscendoli in relazione con noi. Che disastro sarebbe l’assenza di virtuale!

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