Un anno all’estero: primo resoconto.

René Neumann della 4Les sta trascorrendo un anno all’estero. Ci manderà un resoconto periodico di questa straordinaria esperienza.
1 – SI SPIEGANO LE ALI
… Ma il tempo vola. Il gate si apre e saliamo in aereo. Si spiegano le ali. Si decolla e l’avventura inizia…
Alla fine è arrivato. È finalmente giunto il tanto temuto ma allo stesso tempo tanto atteso giorno della partenza. Sono arrivato a Roma ieri per trascorrere l’ultimo giorno con mio padre. Mia madre ci raggiungerà direttamente all’aeroporto per il Saluto Finale, che si terrà alle 17, dove tutti i genitori saluteranno i rispettivi figli, alcuni per sei mesi mentre altri per un anno intero.
A differenza della maggior parte degli altri ragazzi, le mie valigie non sono ancora pronte. Ieri c’è stato un contrattempo con il loro peso, che non deve assolutamente andare oltre la soglia prevista. Questo repentino imprevisto ha causato a me e ai miei genitori un leggero stress prepartenza, perfettamente previsto da Intercultura, l’associazione grazie alla quale potrò vivere quest’unica ed inestimabile esperienza. Nonostante ciò, oggi mi sento rilassato e in pace con me stesso. Quello stress causato da un semplice numero con la virgola le valigie non devono superare è stato completamente sommerso da una quantità indecifrabile di altre emozioni; dall’eccitazione della partenza al dolore del distacco. Per qualche strana ragione sino ad oggi non ho provato agitazione per il saluto finale ormai prossimo, forse perché continuo a respingerla inconsciamente, o magari perché ancora non ho totalmente realizzato tutto quello che ho davanti.
Il raffreddore che ho avuto fino a ieri è passato. Era durato particolarmente tanto, intorno alle tre settimane. Secondo me e mia madre era stato causato dallo stress, non tanto perché ne avessi sentito molto, ma al contrario ci sembrava più una conseguenza del fatto che non lo avessi sentito consapevolmente.
Fino alla settimana scorsa mi era sembrato strano che ancora non provassi nessuna emozione in particolare o comunque abbastanza forte da poterla sentire ben marcata e descrivibile. Fin dall’inizio del percorso di selezione mi ero domandato che sensazione si provasse con l’avvicinarsi della fatidica data di partenza, ma anche adesso non posso che rispondere a questa domanda solo in parte.
Adesso mi trovo a casa di mio padre qui a Roma. Alle 11 il taxi ci verrà a prendere e ci porterà all’Hotel Hilton di Roma Fiumicino, dove trascorrerò la notte insieme a tutti gli altri ragazzi. Nell’attesa mi sdraio sul divano e penso a tutte le cose che mi serviranno, se non mi sono scordato nulla e cosa dovrei comprare all’aeroporto che mi potrebbe tornare utile nel viaggio. Intanto il tempo passa. 9:45 … 10:00 … 10:15 … Come da copione, mio padre si avvia verso la porta con mezz’ora di anticipo e inizia a chiamarmi. Io, nel frattempo, giro ripetutamente per la casa facendo mente locale: valigia uno, valigia due, zaino, busta con alcune cose che non sono entrate nelle valigie e che sistemeremo una volta in hotel… avrò preso tutto? Mio padre continua a chiamarmi, mentre io continuo a vagare per la casa in cerca di luci non spente e di piccoli oggetti dimenticati. 10:40. Usciamo di casa. Il taxi è già arrivato e ne approfittiamo per partire con leggero anticipo così da avere più tempo a disposizione per sistemare tutte le mie cose in aeroporto. Sfortunatamente, dopo l’imprevisto del peso delle valigie, io e mio padre ci siamo resi conto che le valigie che avevo comprato erano troppo grandi e che, dato che avrei dovuto rimuovere molte cose per diminuirne il peso, tanto valeva che ne portassi due più piccole. Per fortuna mio padre, sebbene cominci già ad avere una certa età, non smentisce tuttora la sua indole di viaggiatore e non si fa mai cogliere impreparato quando si tratta di valigie. Una volta arrivati in hotel, aspetteremo mia madre e il suo compagno per poter dar loro tutte le cose che avevano causato il peso in eccesso, che presto mi spediranno direttamente a quello che sarà il mio nuovo indirizzo per un intero anno.
Mentre sono in taxi guardo Roma e la saluto. Nonostante non sia la mia città natale, ci sono stato innumerevoli volte ed è un po’ come una seconda casa per me. Sebbene sia un giorno come tutti gli altri, l’atmosfera che percepisco ha un che di diverso, di unico. Vedo i palazzi, le strade e le piazze come non le avevo mai viste prima. Intanto mio padre chiacchiera con il tassista, spiegandogli che lui mi stava solo accompagnando all’hotel dove ci sarebbe stato il raduno per la mia partenza. Il tassista si sorprende del fatto che avrei vissuto un anno intero all’estero e si congratula con me. Lo ringrazio, anche se i miei pensieri sono altrove. Man mano che ci avviciniamo all’hotel il mio cuore batte sempre più forte e quelle che prima erano sensazioni vaghe e sbiadite si acutizzano in un intricato groviglio di emozioni.
Una volta arrivati in hotel, alcuni volontari di Intercultura ci accolgono e ci chiedono di andare a confermare la nostra presenza e di consegnare dei documenti, come il permesso di alloggio dei genitori. Dopodiché, andiamo al ristorante dell’hotel nell’attesa di mia madre. Nel frattempo, entra nel ristorante anche una delle due ragazze che sarebbero venute nella mia stessa città. Non ci siamo mai conosciuti nella realtà, anche se abbiamo parlato in chat qualche volta. Proprio quando sto per farle un cenno arrivano mia madre e il suo compagno, e data l’enorme quantità di cose che dobbiamo ancora sistemare nelle valigie più piccole, rimando l’incontro a più tardi e ci fiondiamo nella stanza di fronte alla sala dove si terrà la conferenza prepartenza per fare il cambio di valigie e rimuovere alcune cose.
Intanto arrivano sempre più ragazzi e noi ci affrettiamo a terminare il trasferimento per conquistarci un posto decente nella coda per il deposito delle valigie prima che arrivino troppe persone. Nella stanza del deposito delle valigie ci attendono dei volontari che ne misureranno il peso e che ci indicheranno dove dovremo riporle per poi poterle riprendere il giorno dopo prima di andare in aeroporto. Mentre facciamo la coda chiacchiero con i miei genitori, che, nonostante si siano separati da più di dieci anni, si mantengono tuttora in ottimi rapporti. Ci scambiamo sguardi tra di noi, cominciando a realizzare che non ci saremmo visti per un anno intero. Mia madre prende spunto dagli altri ragazzi per fare commenti su cose che avrei dovuto portare con me nello zaino, ovvero delle cose che mi sarebbero servite durante il viaggio in aereo. Guardando i miei genitori mi ricordo della fortuna che ho di averli e rimango fiducioso che il mio anno all’estero trascorrerà così velocemente che quando li rivedrò mi sembrerà come se fosse passato un giorno.
Una volta terminata la fila, i volontari misurano le mie valigie che per poco eccedono il limite. Io e i miei ci mettiamo dunque a riaprirle per valutare cosa sarebbe stato più opportuno rimuovere. Lasciamo quindi entrambe le valigie nella Stanza Deposito e ci avviamo di corsa verso la Sala Conferenze, dove intanto era già iniziata la conferenza finale prepartenza. Nella conferenza il direttore esecutivo di Intercultura ci saluta dandoci gli ultimi consigli e raccomandazioni. I ragazzi presenti sono moltissimi, come anche le destinazioni, anche se sono solo una piccolissima parte di tutte quelle che offrono le borse di studio. La Colombia, il Canada, il Ghana e la Norvegia sono solo alcune di tutti le destinazioni per le quali sarebbero partiti centinaia di ragazzi nel mio stesso giorno.
Giunge quindi il momento del Saluto Finale dei genitori. Sono le 17:30, e ragazzi e genitori cominciano a piangere, sia per l’emozione che per il subentrante senso di nostalgia, e benché l’abbia saputo sin da quando ho iniziato il processo delle selezioni, è proprio adesso che realizzo che non vedrò i miei genitori per un anno intero. È come se all’improvviso mi si siano aperti gli occhi e abbia realizzato tutto d’un tratto quanto durerà questa esperienza. Solo ora mi rendo conto della sua immensità, della quantità di cose che imparerò e di luoghi che visiterò. Solo ora capisco pienamente il significato della frase “Non un anno in una vita ma una vita in un anno”. La gioia e lo stupore di questa grande scoperta, affiancata da un leggero senso di nostalgia, sopraffanno la paura e lo stress, insieme a tante altre emozioni. Guardando i miei genitori mi sopraggiunge un senso di pace che in questo momento vale più di mille parole. Ci abbracciamo e ci salutiamo. Mio padre se ne va, mentre mia madre rimane con me per qualche minuto in più. Nel frattempo mi chiamano alcuni di quelli che saranno i miei compagni di viaggio per fare una foto di gruppo. Vedere tanti altri ragazzi che stanno provando quello che sto provando io mi trasmette un profondo senso di conforto. Ieri mio padre mi ha detto che lui vede questa mia esperienza come un rito di passaggio, come quelli delle tribù africane. Questa esperienza sarà qualcosa che segnerà il mio passaggio tra l’età giovanile e l’età adulta. Tutti questi ragazzi saranno dunque i miei compagni in questo stupendo rito di passaggio e, finché ci saranno loro, non ci sarà niente da temere. Se ne va quindi anche mia madre con gli occhi lucidi e un sorriso abbagliante. I volontari fanno cenno ai genitori rimasti di andarsene, mentre noi ragazzi torniamo dentro alla sala conferenze, dove ci dividiamo per destinazione e facciamo le ultime attività di gruppo. Tra le attività della mia destinazione c’è quella di contare fino a 60, che serve a dimostrare che ad alcuni la durata del periodo sembrerà passare più velocemente, mentre ad altri più lentamente, quella di recitare una scenetta del nostro arrivo, quella registrare un video di noi che gridiamo il nome del nostro paese, che sarà caricato nella pagina ufficiale di Intercultura Italia, quella di salutare mentalmente l’Italia accompagnati da musica rilassante e quella di pensare a quanti più stereotipi possibili della nostra destinazione. In quest’ultima attività mi rendo conto di quanto le mie aspettative fino ad ora siano state influenzate dai più comuni stereotipi e di come tutto sarà così diverso da come me lo sono aspettato. Mi viene in mente l’ultima attività che abbiamo fatto con il centro locale di Arezzo: abbiamo scritto una lettera ai noi stessi dell’anno prossimo che leggeremo una volta tornati.
I volontari ci consegnano dunque le chiavi delle nostre camere per andare a posare i nostri zaini e andare subito dopo a cenare. Durante la cena parliamo delle nostre aspettative, delle città in cui avremmo vissuto, delle famiglie che erano state assegnate e dei luoghi che avremmo visitato. Nel frattempo, comincio a percepire un inesorabile allontanamento psicologico dell’Italia. Nonostante mi trovi ancora in Italia a tutti gli effetti, non mi sembra di esserci. Mi sembra piuttosto di essere già in aereo, nel lungo viaggio che ci attende.
Alle 11:00 vado in camera e mi butto subito sotto le coperte, dato che già sono consapevole che non riuscirò a dormire molto in aereo. Prima di addormentarmi penso. Penso a tutto quello che mi aspetta. A tutte le avventure che vivrò. Penso a domani. Domani sarà probabilmente l’inizio della più grande esperienza della mia vita. Sarà l’inizio di qualcosa che segnerà drasticamente il mio futuro. Qualcosa da cui parte della mia intera vita dipenderà.
Quando mi sveglio mi chiedo dove mi trovo. Sono molto confuso. È come se mi fossi svegliato nella ferma convinzione di trovarmi nel letto di casa mia. Eppure mi trovo a Roma, nell’hotel dell’aeroporto, a due ore dalla partenza. Sono le 2:45 di notte. Alle 3:00 c’è il raduno a cui dobbiamo arrivare puntualissimi. Mi devo sbrigare. Ripongo nello zaino le poche cose che avevo tirato fuori. Mi lavo, anche se dubito che la mia faccia assonnata si risvegli con tanta facilità. Ora mi sento decisamente in aereo. Ho già salutato l’Italia, da cui sono felice di separarmi per un anno. Ho sempre avuto una passione per i viaggi, per le lingue, per le diverse culture e per la scoperta.
Rimane in me quell’intricato groviglio di emozioni difficili da interpretare. Sono molto felice ed eccitato ma allo stesso tempo c’è qualcos’altro. Non è paura, né incertezza. È più una leggera perplessità per l’ignoto. In fin dei conti, sono sicuro che tutte le aspettative che mi sono fatto fino ad ora verranno spazzate via da quella che sarà realmente la mia esperienza, perché alla fine niente è mai come ci si aspetta. Altrimenti che senso avrebbe viaggiare ed esplorare? Ed è proprio per questo che amo la scoperta. Con questo spirito scendo al piano terra per aggregarmi al gruppo.
Una volta arrivati tutti i ragazzi, ci incamminiamo tutti sonnolenti in direzione dell’aeroporto. Faremo scalo a Parigi. Il volo durerà sulle 14 ore. Ci accompagnerà Valeria, una volontaria che lavorerà per un anno nell’ufficio nazionale di Intercultura del nostro paese ospitante e che tornerà con noi a luglio. Piano piano facciamo tutti il check-in e i controlli. Nelle varie code mi metto a parlare con le due ragazze che saranno nella mia stessa città. Una è di Follonica, in provincia di Grosseto, mentre l’altra viene della provincia di Padova. Parliamo dei viaggi che vogliamo fare e delle aspettative che ci siamo fatti sulla nostra città, che in foto sembra essere molto speciale.
Riusciamo ad arrivare al gate prima del previsto e ne approfittiamo per riposare un po’.
Ma il tempo vola. Il gate si apre e saliamo in aereo. Si spiegano le ali. Si decolla e l’avventura inizia. Arriviamo Messico.
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