“René Neumann della 4Les sta trascorrendo un anno in Messico. Ecco la seconda puntata del suo diario di bordo”

2 – SI DECOLLA
… Ogni secondo sembra non passare mai. Il nostro anno all’estero, il vero anno all’estero, inizierà nello stesso momento in cui saremo faccia a faccia con le nostre famiglie. Tutte le aspettative, le domande, i dubbi e le fantasie che ci siamo fatti dal momento in cui abbiamo per la prima volta pensato, anche vagamente, di trascorrere un anno all’estero si sovrappongono in questo momento…
Nell’aereo c’è silenzio. Ripenso agli ultimi tre giorni passati al campo di inizio anno a Città del Messico e a tutte le attività che ho fatto insieme agli altri ottanta ragazzi provenienti da tutto il mondo, di cui quaranta italiani che, come sempre, è difficile non riconoscere data la peculiare estroversione. Dopo tanta preparazione, la voglia di conoscere la mia famiglia ospitante è diventata ancora più forte di prima. Tuttora stento a credere che tra qualche ora conoscerò quella che sarà la mia famiglia per i prossimi undici mesi, la famiglia con cui condividerò moltissime avventure e che mi accompagnerà in questa straordinaria esperienza.
Intercultura dice sempre che la famiglia ospitante definisce il 50% dell’esperienza e che quindi è cruciale che ci sia quanta più compatibilità possibile tra quest’ultima e lo studente. Il fascicolo compilato online serve proprio ad assegnare le famiglie ad ogni ragazzo basandosi sul grado di compatibilità; quest’ultima dovrebbe essere di livello sufficiente ad attutire, per quanto possibile, lo shock culturale iniziale che, in seguito, potrà essere sostenuto da entrambi solo attraverso quello che Intercultura chiama “l’avvicinamento reciproco”.
Ho già visto il fascicolo della mia famiglia. Nonostante mi sia sentito ripetere innumerevoli volte la frase “Ricordatevi sempre di non crearvi aspettative di nessun tipo!” da parte dei volontari, so benissimo, allo stesso tempo, che questo non può essere evitato. Le aspettative ci sono state, ci sono e ci saranno sempre, sta a noi prendere consapevolezza che niente sarà mai esattamente come ce l’aspettiamo. Per fortuna il fascicolo della mia famiglia non è abbastanza chiaro per farsi alcun tipo di aspettativa ben definita: è evidente che hanno utilizzato Google Translate per rispondere a tutte le domande, inutile dire altro. In tutto ciò sono riuscito a capire molto approssimativamente la loro professione (entrambi insegnanti; se ho ben capito mia madre ha anche un secondo lavoro in municipio) e alcuni legami familiari, questi ultimi soprattutto grazie alle foto allegate in fondo al fascicolo. Ci siamo già scritti un paio di messaggi su Whatsapp con mio padre: mi ha detto chiesto le mie taglie di vestiti per comprarmi l’uniforme scolastica. La mia futura scuola si chiama COBAO ed apparentemente le lezioni sono già iniziate da lunedì scorso. In Italia è particolarmente difficile studiare immersi nell’afoso caldo estivo ed è per questo che le nostre vacanze estive durano particolarmente tanto. Nella città messicana in cui vivrò per un anno, invece, sembra che faccia sempre tremendamente caldo ed immagino che agli studenti messicani non cambi molto iniziare il semestre scolastico a metà agosto invece che a metà settembre.
È da qualche giorno che mi chiedo come sia possibile che in una città della grandezza di Ciudad Ixtepec, di circa 30.000 abitanti, sia potuto nascere un centro locale di Intercultura. Ho già letto alcuni articoli sullo stato di Oaxaca e tutti ne mettevano in risalto l’immensa cultura e le svariate tradizioni. Ma perché proprio lì? Oaxaca è tra gli stati più poveri di tutto il paese e l’anno scorso il sud è stato colpito da un violento terremoto di 8.2 gradi. Nonostante ciò, anche quest’anno il centro locale di Ixtepec ha deciso di ospitare dei ragazzi stranieri.
Fino ad ora mi sono sempre immaginato Ixtepec come una piccola cittadina del far west. Dalle poche foto che ho trovato
su internet, di cui la maggior
parte scattate in occasione
del terremoto dell’anno
scorso, sono riuscito a farmi una vaga idea di come sarà la città in cui vivrò per un
anno, anche se le sorprese non mancheranno.
Sono seduto accanto al coordinatore del centro locale di Ixtepec, che ci è venuto ad accogliere direttamente a Città del Messico. Per quanto in aeroporto mi sia apparso un po’ imbranato, tanto che stava per farci imbarcare nel gate per Monterrey, mi sembra comunque una persona molto disponibile, gentile e volenterosa. Mentre mi parla della mia futura città, guardo le nuvole sotto di noi e mi immagino tutto quello che dice. Moltissime tradizioni, feste ricorrenti (soprattutto in questo periodo dell’anno), cibo eccezionale e diversità etnica. Ma ecco che finalmente, dopo un’ora di volo che mi è sembrata un giorno intero, il pilota dell’aereo annuncia che stiamo per atterrare. Da questo momento tutte le cose intorno a me accelerano: in un batter d’occhio atterriamo e scendiamo dall’aereo, accolti da alcune rinfrescanti gocce di pioggia, dato che è proprio l’estate la stagione delle piogge. In men che non si dica siamo già all’aeroporto di Ciudad Ixtepec, che avevo stentato a credere esistesse fino al momento in cui mi hanno dato il biglietto e ho potuto accertarlo con i miei occhi. Entrando nell’aeroporto intravediamo le nostre future famiglie e i volontari di Intercultura Ixtepec, tutti venuti ad accoglierci con bandiere dei nostri paesi d’origine, cartelloni scritti nelle nostre lingue e sombreros. Proprio quando il cuore mi sta cominciando a battere come se volesse uscirmi dal petto, il coordinatore ci chiede di attendere un altro po’ mentre aspettiamo che arrivino i nostri bagagli. Inizia così un’attesa apparentemente breve che a noi sembra un’eternità. Nel frattempo ci intratteniamo a vicenda confrontando le poche impressioni che abbiamo avuto da quell’attimo in cui abbiamo intravisto le nostre future famiglie. Siamo cinque ragazzi: tre italiani (io e altre due ragazze), una tedesca e una groenlandese. È da quanto ci siamo separati da tutti gli altri per andare al nostro gate che abbiamo cercato di socializzare il più possibile dato che, a differenza della maggior parte degli altri centri locali messicani che quest’anno ospitano ciascuno una ventina di studenti, il centro locale di Ixtepec si è limitato a cinque ragazzi a causa del violento terremoto dell’anno scorso. Già sappiamo che molto probabilmente saremo gli unici stranieri ad Ixtepec e proprio per questo motivo dobbiamo cercare di conoscerci il più possibile per sostenerci reciprocamente soprattutto nei primi momenti, che saranno indubbiamente i più difficili.
È così che, nel bel mezzo della chiacchierata, il nastro del ritiro bagagli viene attivato. Ormai manca veramente poco. Il cuore ci sta esplodendo nel petto e una quantità incalcolabile di emozioni ci sta attraversando. Arriva così la prima valigia, poi la seconda, poi la terza, poi la quarta. Aspettiamo ansimando freneticamente l’arrivo della quinta. Ogni secondo sembra non passare mai. Il nostro anno all’estero, il vero anno all’estero, inizierà nello stesso momento in cui saremo faccia a faccia con le nostre famiglie. Tutte le aspettative, le domande, i dubbi e le fantasie che ci siamo fatti dal momento in cui abbiamo per la prima volta pensato, anche vagamente, di trascorrere un anno all’estero si sovrappongono in questo momento. Ma ecco che arriva anche la quinta valigia. Andiamo in direzione delle famiglie. Ci accolgono tutti briosamente. Vedo, così, la mia famiglia.
Sono le sei del pomeriggio. Sono in macchina. Tra poco sarò già nella mia nuova casa. «Sono sicuro che con noi ti troverai benissimo» dice mio fratello. «Ne sono sicuro anch’io» rispondo io. Guardo le strade di Ixtepec. Sono più deserte che mai. Intravedo la mia casa. I miei genitori sono sulla soglia aspettandomi. Arriviamo di fronte alla casa, scendiamo dalla macchina ed apriamo il cancelletto. I miei genitori mi abbracciano forte. Mio padre mi dice: «Sei il benvenuto figlio mio». Mia mamma aggiunge: «Sentiti fin da ora un membro della famiglia e fai come se fossi a casa tua». Li ringrazio molto. Mio fratello e mio padre mi aiutano a spostare tutte le mie cose nella mia stanza. Terminato il trasloco, ci sediamo sul divano e cominciamo a parlare. «E insomma, cosa è stato di preciso che ti ha convinto a cambiare famiglia al tuo settimo mese?». Inizio, così, a raccontare.
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