Il nostro progetto: Come Comunicare?

Come comunicare? Ci hanno fatto credere che comunicare bene voglia dire convincere un altro a fare qualcosa. Quante volte abbiamo sentito dire: “se non abbiamo ottenuto i risultati che volevamo è perchè non abbiamo comunicato bene”. Ci hanno fatto credere che l’interlocutore deve essere considerato un target, un “bersaglio”. Pensiamoci bene: se l’altro è un target per la mia comunicazione, vuol dire che intendo la comunicazione come una pistola. E l’altro è un oggetto. Anzi: un soggetto che devo far diventare oggetto, sottoposto alla volontà di chi ha in mano l’arma.

E ci hanno fatto credere che la comunicazione dovesse avere un centro da cui irradiarsi, verso la periferia. Una emittente, e tanti ricevitori. Chi produce i programmi, decide il palinsesto, stabilisce quali debbano essere i gusti e gli interessi dei “consumatori”, “spettatori”, “fruitori”. Insomma, gli “utenti finali”. E hanno creato un sistema dei media che non rende il mondo un villaggio in cui sia possibile incontrarsi e conoscere. No: hanno preferito rendere mondo il loro villaggio, rendere universale il loro provincialismo. E la tv non è diventata una finestra sul mondo, ma una finestra sul cervello del consumatore.

Come comunicare? Semplicemente rendendo giustizia a questa parola. Non c’è un soggetto che comunica mentre l’altro si limita ad ascoltare. La comunicazione autentica è fatta di interpretazione: parlo in modo che l’altro possa comprendermi; ascolto in modo da ricostruire quanto l’altro sta dicendomi. E non si tratta solo di una impostazione filosofica. Internet ci libera – se lo vogliamo – dal modello centralizzato del broadcasting: uno parla e gli altri ascoltano. Il modello delle dittature, tutto sommato. Invece la Rete è – appunto – un reticolo: ciascuno produce informazione, la trasmette, la rielabora, ne usufruisce.

Come comunicare? Nel nostro  sito ciascuno è soggetto: lo è quando legge, ascolta, guarda quanto altri hanno segnalato, lo è quando a suo volta segnala e condivide con altri quanto ritiene importante. Nell’era dell’informazione in sovradosaggio, ci sono tantissimi “saperi” capaci di interessarci, di entusiasmarci, di farci crescere. Fuori dagli obblighi del sistema dei media elefantiaci. E l’integrazione coinvolge sia le relazioni on line che quelle in presenza (vedi: “Incontriamoci”).

“ComeComunicare” è scritto in Crowdsourcing

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Viviamo in un mondo saturo di parole, di immagini, di informazione. Un mondo nel quale i circuiti elettronici sono sempre accesi, gli strumenti della comunicazione sono sempre più piccoli, pervasivi, ormai una estensione del nostro corpo, dei nostri organi di senso, della nostra mente. Da diversi decenni sugli schermi delle nostre tv non compare più la scritta “fine delle trasmissioni”, nessuna pausa interrompe il fluire elettronico dei monitor. Siamo immersi in una galassia mediatica nella quale più mezzi di comunicazione sono presenti nello stesso istante a sollecitare la nostra attenzione.

Ci sono altri modi oltre quello di considerare target (“bersaglio”) l’interlocutore. Di non pensare che, se l’altro non è d’accordo con la nostra idea, significa che non abbiamo trovato il meccanismo giusto per convincerlo. Comunicare non è manipolare. Presuppone la libertà dell’altro. Il suo diritto a non essere d’accordo (oltre che il patetico e ripetuto “siamo stati fraintesi; non abbiamo comunicato in modo efficace”).

www.comecomunicare.eu è un’altra cosa. È un luogo dove tutti abbiamo diritto di parola, nel civile rispetto di tutti. Una piazza, un laboratorio, una casa, una scuola. Dove c’è pluralità di opinioni politiche, filosofiche, religiose. Ma dove laicità non significa laicismo, e credenza religiosa non significa clericalismo. Dove fiducia nella scienza non significa scientismo, dove etica non significa moralismo. Dove ci si incontra, nell’ambiente digitale, fatto di persone, di idee, di emozioni. E dove ci incontra anche di persona in convegni, seminari, eventi, relazioni. Perché siamo fatto così, siamo fatti di questo intreccio inestricabile tra natura e cultura, tra corpo e tecnica, tra mente e cuore.

Come comunicare in un ambiente dove molti parlano ma forse pochi ascoltano, dove forse sono più quelli che scrivono di quelli che leggono?

La pura quantità di informazioni basta a costruire un mondo ricco di comunicazione? Siamo protagonisti, testimoni o vittime del moltiplicarsi di strumenti, occasioni, luoghi del comunicare? Dobbiamo aspettarci un cambiamento radicale nei modi di conoscere e strutturare il mondo, le relazioni con gli altri, noi stessi e il nostro destino?

Queste e altre domande si affacciano da qualche anno nella mente di tutti noi: figli e padri, giovani e di età matura, studenti e insegnanti, credenti e non credenti. Forse lo fanno in maniera diversa: ci sono i “nativi digitali” per i quali l’immersione nella osmosi comunicativa è un dato di fatto e la perenne connessione alla rete un dato fisiologico . Per essi il lento apprendistato concettuale, la sistematica lettura dei testi, l’ascolto ininterrotto di una argomentazione e di una dimostrazione sono non solo lontani ma spesso incomprensibili. Accanto a loro, come in un altro mondo, ci sono le generazioni più mature che al massimo sono “immigrati digitali”. A queste persone sembra che il filo della memoria si spezzi, che il patrimonio culturale elaborato in secoli si perda, che il mondo si stia banalizzando . Ma è proprio così?

Probabilmente ci è toccato di vivere in una fase straordinaria della nostra storia comune e alle generazioni attuali è affidato un compito decisivo: costituire un ponte, un passaggio, una interfaccia tra differenti modalità di percepire il mondo, sviluppare strategie conoscitive, elaborare etiche della convivenza e della relazione. Per far questo occorre essere consapevoli di ciò che abbiamo dato per ovvio nel passato, anche recente: il significato e le caratteristiche della comunicazione scritta, dell’accesso limitato all’informazione, della iniziazione progressiva al sapere. Occorre essere allo stesso tempo consapevoli della continuità e della frattura che coesistono tra il vecchio continente della cultura scritta e quello nuovo della comunicazione digitale, in particolare di quello che è stato chiamato il “settimo continente”, lo spazio della rete.

Per metterci in condizioni di poter sviluppare questa consapevolezza occorre riflettere sull’importanza della comunicazione nella costituzione stessa della persona umana. Dobbiamo intraprendere un viaggio, per molti aspetti affascinante, che ci porti a scoprire l’enorme ricchezza racchiusa in quello che spesso giudichiamo ovvio e degno di poca attenzione, nonché le potenzialità di quel “nuovo” che a volte ci intimorisce. Scoprendo magari di essere chiamati a una interpretazione etica, politica e religiosa di qualcosa che pensavamo soltanto tecnologico.

Perché la comunicazione è atto specificatamente umano? Essa realizza in modo eminente la stretta correlazione tra natura e cultura presente in ogni istante della nostra vita. Diversamente da ogni illusorio spiritualismo, dobbiamo sempre ricordare che ogni nostro atto, ogni nostro istante, ogni nostro respiro si collocano in un contesto corporeo, fisico, naturale. Abbiamo una massa soggetta alle leggi di gravità. Abbiamo un corpo che interagisce con l’ambiente. Possiamo parlare perché utilizziamo gli organi della fonazione. Tuttavia ciò non basta a spiegare la complessità del linguaggio. Anatomia e fisiologia degli organi della fonazione sono sostanzialmente simili in tutti gli esseri umani, eppure abbiamo elaborato un numero elevatissimo di lingue nella storia dell’umanità. Secondo il «Summer Institute of Linguistics» ci sono oggi 6.912 lingue vive e 33 sistemi di scrittura . Questa enorme pluralità non è un dato accidentale o un fastidioso problema. È piuttosto testimonianza della straordinaria capacità di rendere umano il mondo, intrecciando in modo inestricabile natura e cultura, dato fisico e ricerca di significato esistenziale. Qualcosa di molto simile a quanto avviene con il cibo: anatomia e fisiologia degli apparati digestivi sono molto simili negli esseri umani ma le modalità attraverso le quali cuciniamo i cibi sono infinite. Non si tratta soltanto della ovvia constatazione della presenza differenziata delle materie prime ma molto di più dei valori e dei significati associati alla preparazione e al consumo dei cibi.

Nel caso degli esseri umani la predominanza assunta dal linguaggio ha fatto sì che lo sviluppo fosse legato alle estroflessioni, alla capacità di realizzare un supporto esterno che facilitasse il raggiungimento di un obiettivo. La capacità di correre, di volare, di calcolare, di comunicare a grandi distanze non è inscritta direttamente nel nostro corpo ma si realizza attraverso degli artefatti esterni. Se nel primo caso queste competenze sono presenti direttamente nel Dna, nel caso umano lo sono solo grazie alla condivisione e comprensione consapevole dei saperi. Le estroflessioni fanno parte di noi, sono il prolungamento esterno del nostro corpo – e in un certo senso anche della nostra mente .

Il linguaggio rappresenta il grande scandalo della natura, una discontinuità molto profonda . La comunicazione dei saperi (non solo tecnici ma anche esistenziali) diviene con il linguaggio un aspetto strategico. Se non funziona non posso appoggiarmi a meccanismi automatici. Se funziona posso estendere i saperi tendenzialmente a tutta l’umanità: il sapere condiviso non è suddiviso, i beni comunicazionali non sono a somma zero e non implicano, di per sé, che qualcuno li possieda a scapito di altri che ne rimangono esclusi.

È noto come una scrittura particolarmente complessa renda molto difficile l’accesso e la condivisione del sapere. Gli antichi scribi erano votati sin da bambini alla conoscenza di una tecnologia di scrittura difficile da padroneggiare: migliaia e migliaia di simboli rendono questa tecnologia molto più elitaria di quella rappresentata dall’alfabeto greco e latino. Ma ci sono anche molti altri aspetti, magari meno evidenti ma non meno importanti. Quando una tecnologia si affianca o addirittura si sostituisce a un’altra porta con sé molte trasformazioni non solo di scrittura. Quando in Giappone furono introdotti gli ideogrammi cinesi, le conseguenze non furono solo quelle dell’arricchimento lessicale ma anche quelle del più generale influsso del mondo cinese. Gli ideogrammi non erano semplici strumenti di natura tecnica, impersonali e vuoti, ma si riferivano a uno specifico contesto . Il passaggio da una lingua all’altra non è solo un cambiamento estrinseco di suoni, poiché ogni espressione porta con sé una particolare visione del mondo. Quando Aristotele si è posto il problema di identificare le classi di appartenenza dei termini linguistici, ha ritenuto di trovare una corrispondenza tra il modo con cui è strutturata la lingua greca e il modo con cui è organizzato il mondo. Ma l’adozione di un determinato modello privilegia alcuni aspetti del reale e ne mette in ombra altri. Al di là delle indubbie differenze specifiche, ad esempio, va rilevato che nelle lingue indoeuropee le classi più importanti del discorso sono quelle che raggruppano sostantivi, aggettivi e verbi. Nel mondo classico la realtà era vista soprattutto come successione di eventi, tanto che nel greco antico i nomi sono per lo più derivati verbali. La stessa suddivisione dei generi letterari ne risente: la prevalenza dei sostantivi si collega all’epica, quella degli aggettivi alla lirica, quella delle azioni al dramma. Nella cultura contemporanea il mondo ci appare più un insieme di cose piuttosto che di azioni. I modi verbali si semplificano, alcuni scompaiono. Il greco antico conosceva l’aoristo, in grado di caratterizzare l’azione in quanto tale, senza collocarla in un tempo definito. Alcune mutazioni sono ancora in corso, come il congiuntivo che cede progressivamente il passo all’indicativo. Non si tratta semplicemente di un errore diffuso, quanto piuttosto della spia di un fenomeno più profondo. Abbiamo la convinzione che grazie alla tecnologia possiamo essere sempre più autosufficienti, in grado di stabilire ogni aspetto della nostra vita. Riteniamo che tutte le espressioni verbali che indicano auspicio, desiderio, timore che qualcosa accada o no siano tipiche di società che si rivolgevano al divino solo perché incapaci di controllare gli eventi del mondo naturale.

In modo simile il passaggio da un supporto all’altro genera conseguenze molteplici e a lungo termine. Cambiano i modi di concepire lo spazio e il tempo, la rappresentazione di sé e del mondo, i rapporti sociali e politici.

La velocità di questa trasformazione ci interroga oggi in maniera particolare. Le cornici mentali si differenziano non solo in riferimento ad ambiti geografici o ad ere storiche; si frammentano in tempi sempre più brevi e in spazi sempre più intrecciati. Le differenze non sono più tra società dell’oralità o della scrittura, degli amanuensi o dei tipografi, della parola o dell’immagine. Sono le differenze tra chi si è formato nell’era del libro, della neotelevisione o dei computer. La successione è sempre più veloce: è già passata la generazione di quanti accedevano alla Rete attraverso i pc intesi come macchine singole. Si succedono altre generazioni: quelle che accedono alla Rete raggiunta attraverso i sistemi mobili. Tutto questo ha conseguenze, opportunità, rischi e comporta scelte culturali e politiche.